Descrizione
Un giorno un padre vede nascere il suo bambino; quell’uomo, a sua volta, è un figlio che ripensa al proprio padre, tra avventure, disavventure, gioia e sgomento. L’arrivo di un figlio non solo modifica il presente e il futuro, ma scuote anche le nostre idee sul passato, e accanto ai sentimenti che emergono nel formarsi di una famiglia, la scoperta dell’amore filiale, la paura costante che accompagna ogni gesto e ogni pensiero, tutto questo diventa nella voce di Alejandro Zambra un’opera spericolata e commovente. La letteratura, in un certo senso, ha sempre a che fare con l’infanzia, perché chi scrive cerca di «ritrovare percezioni cancellate dal presunto apprendimento che ci ha resi tanto spesso infelici». E questo, in un rovesciamento poetico, è invece un libro felice, un «lessico famigliare» nel suo farsi, sin dai primi momenti del narratore con il figlio Silvestre, nel reparto maternità, e indietro nel tempo al primo incontro con la madre del bambino, presagio di un amore incipiente. Seguono scoperte e stupori, i libri illustrati che si leggono ad alta voce per accompagnare il sonno di un bimbo, la meravigliosa libertà di quelle storie, la lezione che uno scrittore scopre nello sguardo di un figlio che in fondo sta insegnando al padre come si legge. E poi la complicata vita di due genitori che lavorano in casa durante il lockdown e si danno il turno per occuparsi del bambino, e l’ironia di proibire al figlio la televisione quando loro invece guardano famelici film e serie televisive di nascosto, non appena il bambino dorme. E ancora il rapporto dimenticato e incompreso con il proprio padre, tra litigi e gesti di protezione, strappi e riconciliazioni, mentre quel padre diventa inesorabilmente un nonno, il nonno del nostro bambino. Riflessivo e al tempo stesso umoristico, “Messaggio per mio figlio” si pone delle domande semplici, universali, sempre sorprendenti. «Come spettatori che hanno perso i primi minuti del film ma rimangono allo spettacolo successivo per capire la trama, dimentichiamo proprio la parte dell’infanzia che poi osserviamo nei nostri figli; sono loro a ricordarci quello che abbiamo dimenticato».
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